….I rastrellati erano di Poli, Gallicano, Palestrina, Castel San Pietro, Rocca di Cave, Cave. Soltanto i due cognati (i partigiani Calcagna e De Angelis) fuggiti da Valenza erano tenuti in disparte e guardati più da presso. I 300 furono incolonnati e condotti a piedi ad uno dei comandi di Palestrina. Dopo il primo sommario interrogatorio la moltitudine dei rastrellati fu condotta a Cave, una parte a piedi e l’altra su autocarri. A Cave furono portati nel piazzale di una grande segheria, nei pressi del cinema. I due Partigiani erano però sempre sotto sorveglianza speciale, isolati dagli altri, addossati ad una grande palma. I tedeschi iniziarono un nuovo interrogatorio dividendo i rastrellati in due gruppi: i più giovani – quelli al di sopra della classe 1912 – li caricarono su degli autocarri e li condussero a Cinecittà; gli altri, dopo essersi accertati della loro identità, li lasciarono liberi. I due invece furono trattenuti a Cave. A Cinecittà fu detto ai nuovi arrivati che erano internati Civili di Guerra. La mattina venivano condotti su camion a lavorare nella zona operativa di guerra di Campoleone. La sera, gli internati venivano riportati a Cinecittà. Era stato loro detto che per ogni internato che fuggiva ne sarebbero stati fucilati 10. Durante i 25 giorni di permanenza a Cinecittà fuggì un internato. Quando i tedeschi se ne accorsero fecero interrompere il lavoro e un maresciallo ordinò che fossero presi i primi 10 uomini che avessero la pala. Furono allineati a ridosso di un terrapieno. Vennero puntate le armi e ci furono gli spari. Le raffiche passarono a un metro sulla loro testa. Un severo e crudele ammonimento.
I due trattenuti a Cave ebbero sorte peggiore. Qualcuno riferì di averli visti legati per il collo ad una fune, trascinati da un autocarro. Di essi si perse ogni traccia.
RASTRELLAMENTO GENERALE..
La paura poi del così detto rastrellamento, ossia di dover sloggiare tutti da Cave e suo territorio per andare chi sa dove, in luoghi lontani, in concentramenti, come era avvenuto, in realtà, in tanti altri paesi….. fu l’incubo continuato di tutti, uomini, donne, ragazzi, dotti, ignoranti; anche di coloro che, avendo avuto la possibilità, si erano portati altrove, non solo a Roma, ma anche nei paesi vicini, perché reputati più sicuri dal passaggio della guerra, come Rocca di Cave, Capranica ecc. dove il più piccolo bugigattolo, senza luce, senza cucina, senza latrina, veniva pagato fino a 100O lire al mese! Oh, la paura quanti sacrifici e privazioni insegna a patire! Il pensiero del rastrellamento fu il pensiero piu’ truce di ogni altro, fino all’ultimo momento, quando giunsero gli Anglo-Americani. Perché? Perché, si diceva e si ripetevano tutti, se ce ne andiamo da Cave, chi vi ritornerà?
Anche circa il modo come si sarebbe fatto questo rastrellamento correvano le voci più disparate e sconfortanti. Si diceva, per esempio che gli adulti sarebbero mandati in un luogo, mentre i giovani sarebbero mandati in un altro; in un altro i bambini, in un altro le donne, dividendo i figli dai genitori, i fratelli dalle sorelle ecc ecc…
Il 26 marzo 1944, non lo dimenticheremo mai, ecco una donna (saranno state le ore 14) venire alla nostra casetta e dirci tuta affannata, e con voce tremante, che in contrada S. Lorenzo, vicino a noi, in linea aerea, quanto un tiro di fucile, si era incominciato il rastrellamento generale.. che prendevano tutti gli uomini, anche vecchi… ci voltavamo al viale per vedere se venissero i Tedeschi, in preda al più grande smarrimento, come chi aspetta la morte da un momento all’altro … Coraggio, Mari, diciamo alla nostra sorella, più morta che viva, coraggio! Dio sta da per tutto.., se ci rivedremo, bene; so no, ci rivedremo in paradiso; coraggio! Coraggio! Ma la nostra voce era soffocata dal pianto, contenuto a stento, vivendo quegli istanti come li vive chi sta in attesa della morte sicura…
Ma, intanto, passa quasi un quarto d’ora · · , ne passano due · · , ne passano tre …, quasi un’ora che si attende, e i Tedeschi non si vedono. La speranza rinasce… Debole da principio, più forte poi, sino a che sopravviene la certezza che i Tedeschi non vengano più, almeno per quella sera. Non vennero più, davvero, per nostra fortune. Che era avvenuto? Un fatto tanto semplice. Si doveva fare un lavoro urgentissimo, in serata, lungo la via Cave-Palestrina, e i Tedeschi avevano presi quanti uomini avevano trovati per prima, giovani e vecchi, come erano loro capitati, e li avevano portati al lavoro.. lavoro di un’ora, non più, tanto che la sera stessa i catturati potettero ritornare alle loro famiglie…
IL TRINCERONE
«Un altro fatto venne ad accrescere l’angoscia della intera popolazione, negli ultimi tempi. Alcuni grandi ufficiali tedeschi erano andati a fare delle osservazioni e prendere delle misure sulle alture del monte di Rocca di Cave. In quest’occasione, un gran segnale, con tinta bianca e nera assai visibile, fu piantato sul campanile di S. Carlo, forse come punto di riferimento. Vero o no, quel che si disse, il fatto certo fu che, di lì a poco, due avvenimenti si verificarono presso di noi. Molti soldati tedeschi, aiutati dai nostri cittadini, erano impiegati a fare un grande trincerone. Partendo da Cave, Collerano e sulle falde della montagna di Rocca di Cave, sarebbe arrivato fino a Velletri! Il lavoro infatti, fu cominciato in più punti. Col fare un gran fosso e mettere a sud di esso, copiosi e intricati intrecciamenti di fil di ferro spinato.
L’altro avvenimento fu che si cominciarono a fare, poco sopra S. Maria del Monte, sulla montagna di Rocca di Cave, con una macchina perforatrice, il cui stridore si sentiva a molta distanza, varie buche sulle pietra. Avrebbero dovuto – si diceva – contenere cannoni di grossissimo calibro per la grande resistenza che i tedeschi avrebbero fatto proprio qui a Cave, dopo lasciato Cassino e Nettuno.
L’impressione, la paura, le trepidazioni per questa probabile resistenza Tedesca a Cave – che avrebbe causato il tanto temuto rastrellamento di tutta la popolazione e distrutto quanto di fabbricati, alberi, vigneti, stabilimenti, chiese erano a Cave e sul suo territorio – fu semplicemente enorme. Tanto piu che i soliti bene informati davano già per sicura la cosa, coi più svariati particolari. Il trincerone era solo a pochi passi da Cave, cominciando esso dall’oliveto dell’ingegnere Antonino Clementi, a Collerano o Pratarone, per proseguire su Santo Stefano Vecchio, Speciano, Morino, Valli, Colle Casalecchio, e poi per colle Cruci, Cipolletta, Valle Copella, Valmontone e Velletri.
E difatti, il lavoro già stava un bel pezzo avanti, quando fu bruscamente sospeso. Sia ringraziato Dio! Sospeso, forse perché si avvicinava la cacciata dei tedeschi? Non sappiamo. Il fatto ha visto da allora le cose precipitare davvero. Alcuni tedeschi avevano detto in confidenza ad alcuni loro inservienti di qui, che, ormai, era questione di ore per la fine, perché le cose sul fronte di Nettuno peggioravano per essi, di giorno in giorno».
IL RANCIO – LE BOMBE
Il 17 Maggio 1944 a mezzogiorno in punto, si ebbe il secondo bombardamento su Cave; bombardamento scaricatosi, violentissimo, sopra la Villa Clementi, presso S. Carlo.
Era l’ora del rancio, e perciò tutti o quasi tutti i soldati, che erano accampati a Cave, vi si trovavano; dato che ivi era la cucina generale. Gli scoppi furono moltissimi ed efficacissimi. Le buche fatte dalle bombe sul terreno e sulle adiacenze della villa, mentre il palazzo fu toccato poco dalle bombe, erano profonde dai quattro ai cinque metri.. Nel momento di questo spaventoso bombardamento, un sergente Tedesco, di nome Paolo Leman, di passaggio presso i locali del Tiro a segno, vi si rifugio -tremava come una foglia, poverino. Subito dopo cessato il fragore delle bombe e degli apparecchi, scesi a bassissima quota, grida e urla strazianti si fecero sentire nei dintorni della villa fatale. La nostra casetta, per esser non lontana dalla villa, in breve ora si riempi di gente terrorizzata. Uomini, donne, fanciulli, bambini, in
preda alla piu grande commozione, vennnero a rifugiarsi da noi…
Demmo qualche parola di conforto; demmo qualche goccetto di vino per la paura.. .. venuta la sera, le grida strazianti dei parenti dei morti, duravano ancora nei pressi di Villa Clementi. Poi la notte, col suo manto funereo, copri ogni cosa, cessando ogni segno di vita, se vita poteva dirsi quella di quel giorni con tanti strazi e paure.
CRIMINI MAROCCHINI
«La guerra era finita presso di noi. Cosi fu in realtà e tutti ne gioimmo, come naturale, dopo tante paure e sofferenze di ogni sorta. Senonché proprio il giorno appresso della venuta delle truppe Anglo-Americane, cioè il lunedì 5 giugno, si cominciarono a divulgare in paese e nella campagna certe voci (e le voci citavano fatti veri, concreti, indiscutibili) che non pochi soldati Marocchini e Neri, delle truppe anglo-americane, nonostante l’energico intervento dei comandanti, andavano facendo delle brutalità con quante ragazze e donne avessero incontrate. Fu panico generale specialmente per le ragazze, molte delle quali, poverette, dovettero star nascoste nelle soffitte, nelle grotte, in mezzo ai campi, tra i lupini e cespugli, tanto il giorno quanto la notte».
CREDEVAMO DI IMPAZZIRE
«Dalla sera del 1 giugno 1944, le cannonate, che nei passati giorni si erano sempre più avvicinate, in arrivo o in partenza, nella parte di Artena e di Valmontone, cominciarono a farsi sentire anche in contrada Palme. Aumentando sempre più l’angoscia per gli ultimi decisivi avvenimenti. A dir la verità, fino a quel giorno, noi eravamo lusingati che gli anglo-americani sarebbero andati a Roma, passando solo per la Via Casilina. I colpi su Colle Palme, ci avevano ormai tolto ogni filo di speranza. Ormai, noi stessi eravamo sul punto di non poter più uscire dalla nostra casetta, senza correre il serio pericolo di ricevere qualche colpo o scheggia di mitraglie. Per tutto il dopo pranzo del 1 giugno, fino a notte inoltrata, i colpi di cannone verso Valmontone, in direzione della Casilina, a Nord, come a Sud-Est, furono così continui e così assordanti che credevamo proprio di impazzire. Ci fu detto che la truppa degli anglo-americani, dopo essersi fermata una trentina di ore nel Colle Cipolletta, giunse a Palme e si accampò nelle vicinanze della chiesola della SS. Trinità, la notte tra il venerdl e sabato 3 Giugno».
VITA DA SFOLLATI
Dopo questo primo terribile bombardamento (19 Dicembre 1943) e il successivo (6 Gennaio 1944), quasi tutta la popolazione di Cave se ne fuggi di corsa nelle campagne, ricoverandosi, specie nei primi giorni, fino a quattro o cinque famiglie insieme in un solo locale, Dio solo sa con quante stretteze e privazioni e freddo, par essere nell’inverno. Presso di noi, per esempio, in una casetta campestre, in contrada Vaccano, c’erano ricoverate ben cinque famiglie, una venticinquina di persone, tra cui ben 13 ragazetti, sotto i 10 anni; per cui si puo immaginare la continua .., commedia.
Va da se che siffatte unioni forzate non potevano durare a lungo; per cui si cambiava spesso abituro; ma non se ne trovavano di migliori; piu o meno tutti senza luce, sena cucina, senza le piu elementari necessita. Da qui le imprecazioni alla guerra e ai governanti, che l’avevano voluta, erano all’ordine del giorno, in tutti i momenti, in tutti gli abituri e fuori di essi..
IL CONFESSIONALE..
..da mattina, dunque, del 19 Dicembre 1943 (era di domenica) alle ore 8 precise, quando il grosso della popolazione era gia uscita di casa e affollava le nostre chiese, per ascoltare la S. Messa e far le divozioni, all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, avvenne il terribile bombardamento, Quattro velivoli Americani si erano gettati in picchiata, cioè si erano precipitosamente gettati a bassa quota su Cave, in due riprese, provenienti dalla montagna di Rocca di Cave, gettando 32 bombe di grosso calibro, a giudicare dai gravissimi danni causati da esso; specialmente in via Cavour o Cona, le cui abitazioni furono quasi completamente distrutte. Molto danneggiate furono anche le case adiacenti, compresa la chiesa di S, Maria, che ebbe rotti tutti i vetri delle finestre e rovinate la porta.
Chi scrive queste pagine era, in quell’ora, al suo confessionale, nella Chiesa di S. Maria, e può immaginarsi lo spavento provato da lui, in udire le formidabili, assordanti detonazioni, avvenute nella vicinissima via Cavour, col conseguente cader dei vetri della Chiesa e il fuggi fuggi dei fedeli, in preda ad indicibile spavento. Alle formidabili detonazioni, altri fuggono fuori in campagna, altri, gridando, si dirigono verso il luogo del disastro domandando dei parenti, genitori, spose, figli, fratelli, che sanno di aver lasciati poc’anzi nelle case, or ora crollate. Nel volto di tutti il terrore; e gia si vedono i primi morti scavati sotto le macerie; come pure i feriti, portati da pietosi, non all’ospedale Matti, danneggiato pur esso, ma in casa del Dottor Ariola, del Dottor Sciortino, del Dottor Guidi…
GLI ALLEATI
I GATTI DELLA MONTAGNA
Agnese Ambrosini, madre di Marco Valerio – a 17 anni tra i piu giovani partiginai di zona – fa del villino di famiglia, in località Morino di Cave, un punto di incontro dei giovani antifascisti della zona. Al gruppo primitivo partigiano, autodenominatesi “I gatti della Montagna”, si aggiungeranno piu elementi provenieinti da Valmontone. Verso meta’ ottobre il gruppo entra in fase operativa e inizia con opere di disturbo, tagliando linee telefoniche, asportando e manomettendo segnaletica stradale; per intralciare le comunicazioni dei nazisti. Al villino degli Ambrosini fanno tappa anche altri partigani che avevano il loro campo base al Fosso Scalandrone e che di notte andavano – a piedi- a fare razzie al centro munizioni sito in zona Pozzarico-Quadrelle. La vedova Ambrosini e e suo filgio Valerio verranno presi con rastrellamento di Febbraio del 44.