«I tedeschi si erano già accomodati. Avevano messo una pentola sul fuoco, avevano preso delle galline, le avevano uccise ed attendevano che l’acqua bollisse per affogarle onde spennarle. Tra gli anfratti, a circa cinquanta metri dalla casetta, resomi conto di come stavano le cose, feci cenno alla nostra guida di tenersi da parte, mentre feci cenno ai russi di avanzare cauti a semicerchio. Io ero al centro. Ci accostammo strisciando a terra per non essere visti. A circa dieci metri, balzai in avanti gridando l’alt, al che fecero seguito immediato i russi. I tedeschi, sorpresi ,alzarono le mani. Solo uno tentò di reagire, ma un russo, con il calcio del mitra, un altro po’ gli faceva saltare il mento. Furono disarmati; poi ,attraverso una gola, li conducemmo sotto la montagna e là li fucilammo.
Siccome in quel punto alcuni carbonai stavano facendo del carbone a legna, li gettammo dentro quella fornace (naturalmente i carbonai, intanto che nella fornace maturava il carbone, tagliavano il bosco altrove, sicché non videro e non seppero nulla). Per ogni precauzione, sapendo che a Palestrina – cioè nel territorio di Palestrina – la situazione si era andata rendendo pesante e poteva esplodere da un momento all’altro contro la popolazione stessa, e poiché quel punto era proprio a due passi da Palestrina, volli fare qualcosa in più: feci, ovvero facemmo, scomparire anche ogni traccia di sangue. Ciò fu provvidenziale, perché la mattina dopo, quella zona fu setacciata palmo a palmo. Si pensi a cosa sarebbe accaduto se non avessimo fatto sparire tutto, se quindi avessero solo avuto sentore di quel che era successo».
Bersini – testimonianza diretta –