NON C’ERA PIÙ UN TEDESCO

«Questo incubo dopo qualche giorno svanì; le batterie tedesche si allontanavano nel piano e di notte si dileguavano, come la contraerea che non batteva più. Il rombo dei cannoni alleati diveniva più rado. Silenzio nella pianura. Qualche sussulto di mine, il rombo dei caccia che passavano alti. A Palestrina, avevano visto gli inglesi e ricevuto delle sigarette! Eravamo fuori della tempesta! Le persone commentavano il fausto avvenimento. Tutti – nel segreto del cuore – ringraziavamo il Signore. Giungevano le avanguardie degli anglo-americani composte da marocchini, francesi, tunisini, etc. etc. Si poteva respirare un po’, ma ancora i colpi di cannone ed i rumori degli aeroplani facevano paura. Nel pomeriggio, si fecero i primi sondaggi per il recupero delle salme sepolte nei rifugi».

«4 giugno. Circa mezzanotte. Non vi era a Palestrina più un soldato tedesco. 4 giugno, ore otto antimeridiane, Marocchini ed i neri dell’Africa, inglesi, francesi, americani, canadesi, australiani: entrata degli alleati. Non sono entrati prima perché credevano che i tedeschi fossero numerosi. I cittadini hanno ricevuto i nuovi arrivati con compostezza. Distribuivano caramelle, cioccolatini, sigarette, tabacchi, scatolame; ma nessun affollamento se non di bambini».

 

VENDETTA

«Passiamo davanti una casetta di contadini nascosta, nel verde di un’insenatura ai piedi della collina. Una donna sta piangendo sull’aia. Un vecchio è seduto su un sasso con la testa fra le mani.
– Cosa è successo? -chiediamo.
– I tedeschi – risponde e accenna all’interno della casa. L’umile armadio è sfondato; sul pavimento di mattonelle rossastri biancheggiano a mucchi cocci di stoviglie, le gambe delle sedie del tavolo sono state divelte, le lenzuola e le coperte del letto strappati; lo specchio infranto, le pentole fracassate. Una distruzione stupida e malvagia di oggetti utili solo alla povera vita dei contadini.
-Perché hanno fatto questo?
– Hanno chiesto del vino. Noi non ne abbiamo. Gliel’ho detto e allora ci sono infuriati. Mi hanno picchiato e poi hanno combinato questo macello.
– Quanti erano?
– Quattro.
– Da che parte sono andati?
Il contadino ci indica la direzione che hanno preso. Sono saliti lungo la mulattiera che, a mezzacosta della collina, porta la strada Palestrina-Castel San Pietro. Decidiamo di salire in diagonale attraverso la macchia, cercando di tagliar loro la strada. Io e Sergio abbiamo la rivoltella, Wassily ha sotto la giacca una pistola mitragliatrice. L’acre desiderio di vendicare l’ingiustizia ci fa tirare a tutta andatura in salita tra gli arbusti e cespugli. Non parliamo per risparmiare fiato. Nonostante il freddo, il sole già alto nel cielo splende e ci fa sudare. Improvvisamente, dal gomito della mulattiera, sbucano i quattro tedeschi. A due a due, cantando allegramente, le giacche sbottonatane, i visi arrossati. I loro sguardi si incrociano con i nostri con sorpresa. Smettono di cantare, si irrigidiscono, assumono un’aria torva e strafottente. Fulmineamente io e Sergio estraiamo le rivoltelle. Tiriamo deciso nel gruppo che si scompone. Uno porta le mani allo stomaco con un muggito di dolore, si piega su se stesso e cade con la faccia in avanti. Gli altri estraggono le rivoltelle e sparano a loro volta. La mia rivoltella tira con meravigliosa regolarità. Un altro tedesco si affloscia al suolo. Falciati dalla pistola mitragliatrice di Waissily, i due tedeschi superstiti si controcono con rigide mosse da burattini e si abbattono al suolo».

SCARPONI FERRATI

«Uno scossone violento mi strappa dal sonno. Ci sono I tedechi. Stanno girando per le case. Dalle fessure delle imposte all’incerta luce dell’alba, vedo la strada sottostante gremita di soldati tedeschi coi fucili automatici imbracciati e le granate a mano infilate nella cintnura. Due di essi stanno uscendo da una casa cacciandosi avanti a spintoni un disgraziato, semi vestito. Aferro tutta la mia roba, e arrampicandomi sull’armadio entro nella botola della soffitta. Nell’oscurita l’attesa è penosa. Sono sdraiato sull’impaintito di legno, immobile, la rivoltella nella destra. Il cuore alterna battiti lenti e staccati a ritmi precipitosi. Se venissero qui? Sparerei ai primi due o tre. E poi? Morirei come un topo. Scarponi ferrati stridono sui gradini della scala. La scala di questa casa? Quella della acsa dei vicini? il cuore sembra impazzire. I suoi battiti sono martellate dolorose che scuotono il petto e sembrano rintronare nel buio».

Levi – Testimonianza diretta

INCONTRO CON ALDO FINZI

«Oggi ho fatto conoscenza con Aldo Finzi, colui che era sottosegretario agli interni all’epoca del delitto Matteotti. Sapevo che egli riforniva i russi di viveri e di tabacco, ma ero stato sconsigliato di avvicinarlo per via del suo passato. Però, la situazione oggi è tale da non permettere di andare tanto per li sottile. L’impressione prodottami da quest’uomo alto, distinto, affabile nei modi e suadente nel parlare, è stata buona. Gli ho spiegato le nostre necessità. Ha promesso che intensificherà il rifornimento e che si manterrà in continuo contatto con noi, per darci notizie sui movimenti delle truppe tedesche. La sua bella villa è quasi tutta occupata da un comando tedesco. Gli chiedo come mai vi rimanga. Alza le spalle: – Se scapassi sarebbe peggio. Stando qui posso almeno aiutarvi. Non credo che si accorgeranno della mia attvita – ».

Levi Cavaglione, Testimone diretto

CI ACCHIAPPANO!

«Si sente questo grido. Si scappa dove si può. Ci troviamo nel pianerottolo davanti a casa, quando un tedesco dall’orto di San Figlia si mette a gridare. Fuga precipitosa dentro casa, chiusura della porta. Il tedesco, con un salto nell’orto spara un colpo di rivoltella. Si precipita verso la nostra porta: tenta di aprire. Intanto ognuno si cerca un nascondiglio. Ma il “barbaro”, visto tutto chiuso discende le scale e torna sulla strada».

I PASSI DELLA PAURA

«Il coprifuoco, dalle ore 20:30, ora legale, passa alle ore 18 per punizione. Regolarmente, durante il coprifuoco, passa la ronda composta da due soldati tedeschi, che si sentono da lontano per il rumore sordo e cadenzato delle loro scarpe chiodate. Avverto subito un senso di oppressione, di annullamento della mia dignità umana, e di mancanza di libertà».

IL FAZZOLETTONE

«Il mio compito è cercare di procurare legna. Ma all’improvviso un grido:

– I tedeschi!!!

Zia Angelina non perde la calma, mi chiama, mi ordina di indossare il suo vestito e di mettermi un fazzolettone sul capo, mi dà un coltello e un cesto e mi ordina di andare a fare la cicoria. I tedeschi mi guardano e poi vanno via. Così mi salvai dal rischio di finire al fronte di Cassino o in Germania. Il cannone si fa sentire forte e incomincia a colpire i nodi stradali a pochi chilometri da Palestrina. Gli alleati a 13 km da Frosinone. Capranica bombardata per la seconda volta».

I visi della disfatta

Verso le 14 Palestrina viene bombardata per la sesta volta. Le Casacce, il Seminario e la Cortina sono i punti maggiormente colpiti. Gli alleati con la loro avanzata, finalmente travolgente, occupano Artena puntando su Valmontone e Labico. Si spera che presto Palestrina sia liberata. Passano i tedeschi afflitti, avviliti, disarmati; portano sul viso i segni dello scoraggiamento e della disfatta. Mille voci si divulgano, ma per ora non si sa la verità. Gli alleati ancora non arrivano.

UN SABATO DI BOMBE

«Alle 7:30 del 22 gennaio di 50 anni fa, Palestrina fu sottoposta ad un violento bombardamento seguito da un altro di minore intensità verso le 16. I danni furono ingenti. Le zone più danneggiate furono via Thomas Mann, via Verrio Flacco, la Santissima Annunziata, via del Borgo, Porta Santa Croce, Viale della Vittoria (edificio scolastico), Santa Maria degli Angeli, Palazzo Lulli  e Sabatuccio. E in maniera più lieve, la stessa cattedrale. I morti furono 88 e i feriti oltre 100. Tutta la città era sotto shock: lamenti dei feriti e pianti di disperazione gettavano i nostri animi un senso di vuoto, di rabbia e di paura. Alle mie narici tornavano violenti e gradevoli gli altri odori dell’esplosivo e dei calcinacci che mi avevano perseguitato nei due precedenti anni di guerra a Bengasi e in Tunisia e che mai avrei creduto di ritrovare nella mia Palestrina. Anch’io corsi subito a portare un po’ di aiuto in via Verrio Flacco, ma dovetti quasi subito lasciare quella attività perché, insieme al Caporale Egidio Galeazzi – comandante della Brigata Patrioti Preneste, di cui ero vice comandante – e Francesco Sbardella – membro come me del comitato di Liberazione Nazionale – ci recammo in comune dove  “armata manu”destituimmo l’allora commissario Dell’Aquila (in precedenza Segretario comunale), assumendo il controllo della città. Dell’Aquila non oppose alcuna Resistenza e noi, come primo atto, provvederemo subito a distribuire alla popolazione un po’ di pasta giacente nel panificio (mi pare fossero 22 quintali). Questo facemmo nel convincimento che i tedeschi stessero per lasciare la città e che gli alleati sarebbero arrivati presto. Quel giorno, per noi si accese una fiammata di entusiasmo e di speranza, fiaccata subito dai tedeschi, tornati in forze il giorno dopo, come sapevano ben fare loro».

GLI OCCHIALI SALVANO LA VITA

«Al primo nucleo di partigiani sovietici si aggiunge un gruppo proveniente da Paliano. Prigionieri sovietici fatti fuggire dalla terribile Fortezza dai Partigiani di Paliano, che pagarono poi con l’arresto il loro coraggio. Dorascenzi li conduce verso Palestrina. A metà strada, si incontrano con Lucio Lena, il commissario politico della banda Bersini. Lucio li deve guidare alla base. Mentre attraverso i campi, verso Palestrina, vengono avvistati da una pattuglia nazista, che sta operando un rastrellamento. Sono quasi tutti ancora disarmati. Lucio Lena prontamente decide di far ripiegare il gruppo verso una boscaglia, mentre lui continuerà ad avanzare tra i campi verso i tedeschi in modo da farsi prendere, sicuro così di ritardare almeno per qualche minuto l’avanzare dei nazisti e forse di evitare lo scontro. Difatti, come previsto viene preso. La pattuglia, comandata da un ufficiale, gli chiede subito chi erano gli altri uomini. Lena dichiara di non conoscerli, ma i nazisti non si accontentano; lo vogliono interrogare con i soliti infallibili metodi. Lucio ha gli occhiali e i nazisti glieli strappano via. L’ufficiale nazista per curiosità vi guarda attraverso, poi scoppia in una risata. Lucio è miopissimo e anche emeretrope. L’ufficiale comprende che un uomo così cieco non può certo fare il Partigiano e lo lascia libero. Lucio riesce a raggiungere un valloncino boscoso, ove trova i sovietici e Doracrescenzi. Ora la formazione è numerosa – i sovietici sono 18- e le armi, tolte nazisti durante le reazioni effettuate, sufficienti a renderli efficienti. Da questo momento si susseguono ininterrottamente gli attacchi contro i nemici in transito».