LA BABELE DELLA RESISTENZA

… Il 2 giugno giunge al battaglione l’ordine di partire il giorno dopo. Il caricamento dei mezzi organici e la sistemazione delle munizioni richiedono l’intera giornata.
Il 3 giugno, dalle 8, il battaglione salì sui camion del treno e, alle 10, la colonna si muove verso nord, verso Roma…. Poche distrazioni, poiché la fuga dei tedeschi è stata rapida dopo la rottura della linea Hitler… una sosta di mezz’ora ci consente di sgranchirci le gambe e fare uno spuntino. Dopo aver tagliato la ferrovia Roma-Napoli, la colonna sbuca sulla strada nazionale n.° 6 (Via Casilina) e punta su Roma in direzione di Valmontone, dove il 3° Spahis, si è appena riunito ai blindati americani.
Il 3° battaglione riceve il compito di impossessarsi di Palestrina e Castel San Pietro dopo aver risollevato gli americani impigliati da due giorni nella pianura ai piedi di questi due paesi importanti che dominano la valle di colture e vigneti dove passano dritte le strade di Roma e Tivoli.
Tivoli… Palestrina… nomi che evocano in noi ricordi letterari e artistici; ma non è quello il momento di gustare da dilettante le gioie dello spirito.
Verso le 18 il battaglione si raduna, materiali in spalla, avviandosi progressivamente in piccole colonne, come un filo di Arianna, una linea di forza, dirigendosi da est di Valmontone a Palestrina… Notte magnifica e stellata, noi proseguiamo sempre verso Palestrina. L’aviazione nemica sempre in attività sulle nostre teste.
A partire dalle 5.30 alcune pattuglie .. sondano i confini a su di Palestrina e di Castel San Pietro. Il tedesco sembrava aver liberato (abbandonato) il luogo. I due grandi paesi, vere cittadine, posti l’uno sull’altro sino a confondersi, risplendono nel loro colore ocra e rosa delle facciate. In alto, a 680 metri d’altitudine, un vecchio castello feudale, smantellato, innalza il suo maschio ancora intatto. Alcune mine cadono ad ovest nelle vicinanze di Palestrina.
Per la prima volta dall’inizio della campagna si presentano al P.C. del battaglione alcuni “partigiani” italiani con il bracciale tricolore verde, bianco e rosso. Essi offrono i loro servizi, propongono di guidare “le colonne d’assalto” nel cuore dei loro paesi, ma aggiungono che il tedesco ha appena sloggiato nel corso della notte, a parte alcuni gruppi barricati nelle case ai confini ovest di Palestrina.
Un francese della Tunisia è tra di loro. Deportato in Italia dalla falange africana, durante l’inverno del 1943, è riuscito ad evadere e si è dato alla macchia con i resistenti italiani. Egli segnala che più a est, in alta montagna, un maquis (partigiano) russo batte la campagna, in attesa dell’arrivo dei liberatori… è la Babele della resistenza europea, che ci si presenta all’improvviso.
… viene dato l’ordine all’11° e al 9° di spingersi immediatamente e con massima celerità nei due paesi, con il compito di ridurre rapidamente i gruppi sporadici di resistenza che si potrebbero ancora trovare.
L’11° Cie occupa, alle 9, tutta Palestrina, dopo aver travolto un gruppo nemico che era riuscito a scappare.
Il 9° Cie si porta, attraverso l’est di Palestrina, a Castel San Pietro che occupa, alle 10:00, senza reazione da parte del nemico, ma dopo una marcia spossante (un dislivello di 600 mt), sotto il sole, tra ghiaie e rocce bruciate. La sezione dell’aspirante ufficiale ZENIN pianta i tre colori sul vecchio maschio segnato dalle armi dei Colonna, assistenti al soglio pontificio.
Senza indugio, gli uomini sono invitati, autorità comunali in testa, a liberare la strada a tornanti che mette in comunicazione i due paesi, per consentire ai nostri veicoli di salire. Gli effetti dell’aviazione americana appaiono in tutta la loro potenza distruttiva: immobili di 4 piani sono stati completamente rasi al suolo. L’itinerario è a mala pena ristabilito verso le 12, il P.C. del battaglione si stabilisce al Comune di Castel San Pietro. Nelle strade la popolazione accoglie calorosamente i gloriosi liberatori. Il sindaco è invitato a pregare le donne di non distribuire copiosamente vino ai giovani africani; quanto alle “ragazze” troppo stuzzicanti vestite in ghingheri faranno bene a non prodigare troppi sorrisi che potrebbero essere male interpretati. La strada torna calma e il battaglione può insediarsi secondo tutte le regole della stretta disciplina..

RASTRELLAMENTO GENERALE..

La paura poi del così detto rastrellamento, ossia di dover sloggiare tutti da Cave e suo territorio per andare chi sa dove, in luoghi lontani, in concentramenti, come era avvenuto, in realtà, in tanti altri paesi….. fu l’incubo continuato di tutti, uomini, donne, ragazzi, dotti, ignoranti; anche di coloro che, avendo avuto la possibilità, si erano portati altrove, non solo a Roma, ma anche nei paesi vicini, perché reputati più sicuri dal passaggio della guerra, come Rocca di Cave, Capranica ecc. dove il più piccolo bugigattolo, senza luce, senza cucina, senza latrina, veniva pagato fino a 100O lire al mese! Oh, la paura quanti sacrifici e privazioni insegna a patire! Il pensiero del rastrellamento fu il pensiero piu’ truce di ogni altro, fino all’ultimo momento, quando giunsero gli Anglo-Americani. Perché? Perché, si diceva e si ripetevano tutti, se ce ne andiamo da Cave, chi vi ritornerà?

Anche circa il modo come si sarebbe fatto questo rastrellamento correvano le voci più disparate e sconfortanti. Si diceva, per esempio che gli adulti sarebbero mandati in un luogo, mentre i giovani sarebbero mandati in un altro; in un altro i bambini, in un altro le donne, dividendo i figli dai genitori, i fratelli dalle sorelle ecc ecc…

Il 26 marzo 1944, non lo dimenticheremo mai, ecco una donna (saranno state le ore 14) venire alla nostra casetta e dirci tuta affannata, e con voce tremante, che in contrada S. Lorenzo, vicino a noi, in linea aerea, quanto un tiro di fucile, si era incominciato il rastrellamento generale.. che prendevano tutti gli uomini, anche vecchi… ci voltavamo al viale per vedere se venissero i Tedeschi, in preda al più grande smarrimento, come chi aspetta la morte da un momento all’altro … Coraggio, Mari, diciamo alla nostra sorella, più morta che viva, coraggio! Dio sta da per tutto.., se ci rivedremo, bene; so no, ci rivedremo in paradiso; coraggio! Coraggio! Ma la nostra voce era soffocata dal pianto, contenuto a stento, vivendo quegli istanti come li vive chi sta in attesa della morte sicura…
Ma, intanto, passa quasi un quarto d’ora · · , ne passano due · · , ne passano tre …, quasi un’ora che si attende, e i Tedeschi non si vedono. La speranza rinasce… Debole da principio, più forte poi, sino a che sopravviene la certezza che i Tedeschi non vengano più, almeno per quella sera. Non vennero più, davvero, per nostra fortune. Che era avvenuto? Un fatto tanto semplice. Si doveva fare un lavoro urgentissimo, in serata, lungo la via Cave-Palestrina, e i Tedeschi avevano presi quanti uomini avevano trovati per prima, giovani e vecchi, come erano loro capitati, e li avevano portati al lavoro.. lavoro di un’ora, non più, tanto che la sera stessa i catturati potettero ritornare alle loro famiglie…

IL TRINCERONE

«Un altro fatto venne ad accrescere l’angoscia della intera popolazione, negli ultimi tempi. Alcuni grandi ufficiali tedeschi erano andati a fare delle osservazioni e prendere delle misure sulle alture del monte di Rocca di Cave. In quest’occasione, un gran segnale, con tinta bianca e nera assai visibile, fu piantato sul campanile di S. Carlo, forse come punto di riferimento. Vero o no, quel che si disse, il fatto certo fu che, di lì a poco, due avvenimenti si verificarono presso di noi. Molti soldati tedeschi, aiutati dai nostri cittadini, erano impiegati a fare un grande trincerone. Partendo da Cave, Collerano e sulle falde della montagna di Rocca di Cave, sarebbe arrivato fino a Velletri! Il lavoro infatti, fu cominciato in più punti. Col fare un gran fosso e mettere a sud di esso, copiosi e intricati intrecciamenti di fil di ferro spinato.

L’altro avvenimento fu che si cominciarono a fare, poco sopra S. Maria del Monte, sulla montagna di Rocca di Cave, con una macchina perforatrice, il cui stridore si sentiva a molta distanza, varie buche sulle pietra. Avrebbero dovuto – si diceva – contenere cannoni di grossissimo calibro per la grande resistenza che i tedeschi avrebbero fatto proprio qui a Cave, dopo lasciato Cassino e Nettuno.

L’impressione, la paura, le trepidazioni per questa probabile resistenza Tedesca a Cave – che avrebbe causato il tanto temuto rastrellamento di tutta la popolazione e distrutto quanto di fabbricati, alberi, vigneti, stabilimenti, chiese erano a Cave e sul suo territorio – fu semplicemente enorme. Tanto piu che i soliti bene informati davano già per sicura la cosa, coi più svariati particolari. Il trincerone era solo a pochi passi da Cave, cominciando esso dall’oliveto dell’ingegnere Antonino Clementi, a Collerano o Pratarone, per proseguire su Santo Stefano Vecchio, Speciano, Morino, Valli, Colle Casalecchio, e poi per colle Cruci, Cipolletta, Valle Copella, Valmontone e Velletri.

E difatti, il lavoro già stava un bel pezzo avanti, quando fu bruscamente sospeso. Sia ringraziato Dio! Sospeso, forse perché si avvicinava la cacciata dei tedeschi? Non sappiamo. Il fatto ha visto da allora le cose  precipitare davvero. Alcuni tedeschi avevano detto in confidenza ad alcuni loro inservienti di qui, che, ormai, era questione di ore per la fine, perché le cose sul fronte di Nettuno peggioravano per essi, di giorno in giorno».

LI FUCILAMMO

«I tedeschi si erano già accomodati. Avevano messo una pentola sul fuoco, avevano preso delle galline, le avevano uccise ed attendevano che l’acqua bollisse per affogarle onde spennarle. Tra gli anfratti, a circa cinquanta metri dalla casetta, resomi conto di come stavano le cose, feci cenno alla nostra guida di tenersi da parte, mentre feci cenno ai russi di avanzare cauti a semicerchio. Io ero al centro. Ci accostammo strisciando a terra per non essere visti. A circa dieci metri, balzai in avanti gridando l’alt, al che fecero seguito immediato i russi. I tedeschi, sorpresi ,alzarono le mani. Solo uno tentò di reagire, ma un russo, con il calcio del mitra, un altro po’ gli faceva saltare il mento. Furono disarmati; poi ,attraverso una gola, li conducemmo sotto la montagna e là li fucilammo.

Siccome in quel punto alcuni carbonai stavano facendo del carbone a legna, li gettammo dentro quella fornace (naturalmente i carbonai, intanto che nella fornace maturava il carbone, tagliavano il bosco altrove, sicché non videro e non seppero nulla). Per ogni precauzione, sapendo che a Palestrina – cioè nel territorio di Palestrina – la situazione si era andata rendendo pesante e poteva esplodere da un momento all’altro contro la popolazione stessa, e poiché quel punto era proprio a due passi da Palestrina, volli fare qualcosa in più: feci, ovvero facemmo, scomparire anche ogni traccia di sangue. Ciò fu provvidenziale, perché la mattina dopo, quella zona fu setacciata palmo a palmo. Si pensi a cosa sarebbe accaduto se non avessimo fatto sparire tutto, se quindi avessero solo avuto sentore di quel che era successo».

Bersini – testimonianza diretta –

IL RANCIO – LE BOMBE

Il 17 Maggio 1944 a mezzogiorno in punto, si ebbe il secondo bombardamento su Cave; bombardamento scaricatosi, violentissimo, sopra la Villa Clementi, presso S. Carlo.
Era l’ora del rancio, e perciò tutti o quasi tutti i soldati, che erano accampati a Cave, vi si trovavano; dato che ivi era la cucina generale. Gli scoppi furono moltissimi ed efficacissimi. Le buche fatte dalle bombe sul terreno e sulle adiacenze della villa, mentre il palazzo fu toccato poco dalle bombe, erano profonde dai quattro ai cinque metri.. Nel momento di questo spaventoso bombardamento, un sergente Tedesco, di nome Paolo Leman, di passaggio presso i locali del Tiro a segno, vi si rifugio -tremava come una foglia, poverino. Subito dopo cessato il fragore delle bombe e degli apparecchi, scesi a bassissima quota, grida e urla strazianti si fecero sentire nei dintorni della villa fatale. La nostra casetta, per esser non lontana dalla villa, in breve ora si riempi di gente terrorizzata. Uomini, donne, fanciulli, bambini, in
preda alla piu grande commozione, vennnero a rifugiarsi da noi…
Demmo qualche parola di conforto; demmo qualche goccetto di vino per la paura.. .. venuta la sera, le grida strazianti dei parenti dei morti, duravano ancora nei pressi di Villa Clementi. Poi la notte, col suo manto funereo, copri ogni cosa, cessando ogni segno di vita, se vita poteva dirsi quella di quel giorni con tanti strazi e paure.

CRIMINI MAROCCHINI

«La guerra era finita presso di noi. Cosi fu in realtà e tutti ne gioimmo, come naturale, dopo tante paure e sofferenze di ogni sorta. Senonché proprio il giorno appresso della venuta delle truppe Anglo-Americane, cioè il lunedì 5 giugno, si cominciarono a divulgare in paese e nella campagna certe voci (e le voci citavano fatti veri, concreti, indiscutibili) che non pochi soldati Marocchini e Neri, delle truppe anglo-americane, nonostante l’energico intervento dei comandanti, andavano facendo delle brutalità con quante ragazze e donne avessero incontrate. Fu panico generale specialmente per le ragazze, molte delle quali, poverette, dovettero star nascoste nelle soffitte, nelle grotte, in mezzo ai campi, tra i lupini e cespugli, tanto il giorno quanto la notte».

CREDEVAMO DI IMPAZZIRE

«Dalla sera del 1 giugno 1944, le cannonate, che nei passati giorni si erano sempre più avvicinate, in arrivo o in partenza, nella parte di Artena e di Valmontone, cominciarono a farsi sentire anche in contrada Palme. Aumentando sempre più l’angoscia per gli ultimi decisivi avvenimenti. A dir la verità, fino a quel giorno, noi eravamo lusingati che gli anglo-americani sarebbero andati a Roma, passando solo per la Via Casilina. I colpi su Colle Palme, ci avevano ormai tolto ogni filo di speranza. Ormai, noi stessi eravamo sul punto di non poter più uscire dalla nostra casetta, senza correre il serio pericolo di ricevere qualche colpo o scheggia di mitraglie. Per tutto il dopo pranzo del 1 giugno, fino a notte inoltrata, i colpi di cannone verso Valmontone, in direzione della Casilina, a Nord, come a Sud-Est, furono così continui e così assordanti che credevamo proprio di impazzire. Ci fu detto che la truppa degli anglo-americani, dopo essersi fermata una trentina di ore nel Colle Cipolletta, giunse a Palme e si accampò nelle vicinanze della chiesola della SS. Trinità, la notte tra il venerdl e sabato 3 Giugno».

A FUOCO, A FUOCO

“Questa notte verso le ore 3 hanno dato fuoco al Municipio di Palestrina. Per tutta la notte grandi fiammate e fumate si sono elevate ed il fuoco e’durato fino alla notte seguente. E’ andato tutto distrutto. E’rimasto solo lo scheletro delle mura. Chi sia stato l’autore? Tedeschi? bande RUsse? Palestrinesi? Non si sa di certo. ma con ogni probabilita sono stati i tedeschi che si trovano in ritirata.. invece si e’ risaputo che sono stati i ‘patrioti’ che si erano dati all a macchia. Verso le ore 15 mitragliamento e sgancio di vari spezzoni di Palestrina. Uno ha fatto crollalre la finta della chiesa di Santa Lucia.. “

NOTTE INFERNALE

“La notte scorsa e’ stata infernale. Si e’avuto lancio di lampiocini luminosi su tutta la zona e poi continuo bombardamento aereo terrestre. Una bomba di aereo e’caduta sotto al piazzale del convento tra la prima e la seconda via crucis atterrando con lo spostamento di aria e distruggendo meta della pergola. Ma se la notte e’stata infernale, molto piu cupa e terribile e’stata la giornata del 1 giugno. Fin dalle prime ore gli aerei che sorvolano Palestrina hanno sganciato in piu punti vari spezzoni e mitragliato quasi avvisando la popolazione per cio che stava per accadere.. Difatto tutti hanno cercato salvezza in qualche ricovero e cio e’stato p[iu fatale per il disastro, aggravato ancora da un ordine diramato ieri sera in cui si faceva obbligo alla popolazione che era in campagna di rientrare. Questo ordine e’stato causato dall’uccisione di di acluni tedeschi avvenuta a Colel Francolino da parte delle bande di “patrioti”che approfittando dello sbandamento tedesco, casua la ritirata, hanno preso le armi. Circa le ore 9 e’avvenuta la distruzione quasi totale di Palestrina… fortezze volanti americane sgancaivano tonnellate di bombe di grosso calibro sulal citta. I migiliroi edifici rimanevano rasi al suolo. NOI cercammo riparo in una grotta, la lo scuotimento ci faceva traballare le fondamenta sotto i piedi. L’impressione avuta pero visitando gli edifici colpiti ci ha resi piu paurosi e preoccupati. La chiesa della ss Annunziata col capanile e case vicine scomparsa del tutto… I morti sono incalcolabili. Le povere Monache Farnesiane (15 in tutto) hanno perduto la vita nel ricovero del Palazzo Veccia inseime ad altre 20 persone. IN una grotta situata nella parte piu alta di Palestrina vi rimanevano schiacciate dai massi circa 60 persone. Familgie intere distrutte e dobbiamo dire che erano le piu affezzionate al nostro convento e che fino al giorno avanti vi avevano trovato asilo sicuro insieme con altre centinaia di persone che ancora fidano nella protezione di S. Francesco…”

IL DEPOSITO

«Alle ore 9 del mattino, per tre volte a breve distanza, si sono intesi i soliti scoppi. Gli anglo-americani hanno molto interesse ad ispezionare di continuo questi luoghi perché, come si sente dire, i tedeschi hanno posto da queste parti il deposito di munizioni. Dopo pranzo, verso le 14:30, si è inteso un forte crepitar di mitraglia accompagnato da forti detonazioni e da colpi di antiaerea. Questa volta si sono visti 5 aereoplani nemici che scorazzavano furiosamente nella pianura – tra Palestrina e Valmontone – lanciando bombe e mitragliando. Sono stati una decina di minuti a volteggiare sugli obiettivi, indi sono scomparsi. Ad un certo punto si è visto sospeso in aria, sopra i monti di Artena, un involucro nero che si e’abbassato gradatamente, fino a terra: si è creduto fosse qualcuno gettadosi con paracadute».